La donna


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Resistenza

Storia

Resistenza

Caduto il fascismo, l'Italia rimane divisa in due: a Roma, gli ebrei sono deportati in Germania, i partigiani organizzano attentati, le SS fucilano i civili per rappresaglia e fanno retate in interi quartieri rastrellando tutti gli uomini che, non sapendo che cosa fare, si

soni tolti la divisa e si sono nascosti.

La città sono piene di sfollati e adesso non c’è più cibo che diviene il pensiero ossessivo e la principale attività delle donne.
Quando si viene a sapere che qualcuno ha i magazzini pieni di viveri, le donne si organizzano per assaltare forni o cantine dove sonno ammassati sacchi di farina e di riso.
Nel Nord, le donne giovani e meno giovani delle famiglie antifasciste entrano nella Resistenza, grazie al fatto che godono di più libertà degli uomini e possono spostarsi più facilmente.
I nazisti e i fascisti, sono talmente convinti che le donne siano timorose casalinghe votate al focolare domestico che, nei primi tempi della guerra partigiana, non sospettano di loro.
Nel 1944, numerosi prefetti vietano l’uso della bicicletta agli uomini, ma non alle donne.
I partigiani allora le utilizzano come staffette: portano gli ordini, i manifestini, i pezzi di ricambio delle radio e delle armi da un quartiere all’altro delle città o dalle città alle campagne.
A ogni posto di blocco sono fermate perquisite, ma basta essere carine, tenere i nervi a posto, saper scherzare con i militari, distrarli per poter passare indisturbate.
La tensione logora i loro nervi, ma le ragazze sono fiere di rischiare la vita per un ideale e sono consapevoli dell’importanza del loro ruolo.
Ci sono anche le ragazze che sparano, in montagna fanno parte delle brigate partigiane impegnate nei combattimenti, alcune muoiono in battaglia, altre catturate vive, torturate e fucilate.
Nel Nord, mentre le partigiane combattono una guerra fatta di attese, di agguati, di fughe disperate, le operaie ne combattono un’altra, durissima anch’essa, fatta di scioperi, manifestazioni di protesta, insubordinazione.
E’ una guerra per conquistare la distribuzione regolare delle razioni con grandi rischi anch’essa.
A Imola una folla di casalinghe radunata in piazza davanti al comune per chiedere che le autorità si decidano di distribuire la carne viene presa a fucilate dai soldati della Milizia fascista:
A Torino le operaie cominciano a scendere in piazza gridando:” i nostri figli hanno fame”:
Questa forma di guerriglia urbana comincia nelle code per acquistare i generi alimentari.
A volte organizzano azioni concrete come a Torino il giorno di Natale del 1944 cento donne assaltano i magazzini sul fiume Dora, un altro volta entrano nei depositi di carbone della Fiat, inoltre sequestrano le camionette che portano il sale alle manifatture di Stato.
Le SS arrestano e fucilano, ma non riescono a mantenere l’ordine.
Ai funerali di due ragazze torinesi che facevano parte di un’organizzazione chiamata “Gruppi di difesa della donna”, uccise dai nazisti, partecipano tutte le operaie torinesi e una cinquantina sono arrestate dai fascisti.

Voglio ricordare una donna vittima della tragedia della guerra la cui storia mi ha profondamento colpito ed è quella di Norma Cossetto, studentessa universitaria istriana, torturata, violentata e gettata in una delle tante foibe che caratterizzano il territorio della Venezia Giulia assieme ad altri 25 sventurati nella notte tra il 4 e il 5 ottobre 1943. La sua storia è considerata emblematica per descrivere i drammi e le sofferenze dell'Istria e della Venezia Giulia
Norma Cossetto è una splendida ragazza di 24 anni, laureanda in lettere e filosofia presso l'Università di Padova. In quel periodo gira in bicicletta per i comuni dell'Istria per preparare il materiale per la sua tesi di laurea, che aveva per titolo "L'Istria Rossa".
Il 25 settembre 1943 un gruppo di partigiani irrompono in casa Cossetto razziando ogni cosa e prelevano Norma, che viene condotta prima nella ex caserma dei Carabinieri.
Dopo una sosta di un paio di giorni, vengono tutti trasferiti durante la notte e trasportati con un camion nella scuola di Antignana, dove Norma inizia il suo vero martirio. Fissata ad un tavolo con alcune corde, viene violentata da diciassette aguzzini, quindi gettata nuda nella Foiba poco distante, sulla catasta degli altri cadaveri degli istriani.
Il 10 dicembre 1943 i Vigili del fuoco di Pola recuperano la sua salma caduta supina, nuda, con le braccia legate con il filo di ferro, su un cumulo di altri cadaveri aggrovigliati.
Dei suoi diciassette torturatori, sei sono arrestati e obbligati a passare l'ultima notte della loro vita nella cappella mortuaria del locale cimitero per vegliare la salma, composta al centro, di quel corpo seviziato. Soli, con la loro vittima, con il peso enorme dei loro rimorsi impazzirono e poi sono fucilati.
L’8 febbraio 2005 l’allora presidente della Repubblica, Ciampi, ha insignito Norma Cossetto della medaglia d’oro al merito civile.

Il primo maggio del 1945, nell’Italia del Nord liberata, i partigiani marciano tra la folla festante.
Per le donne partigiane quel giorno segna l’inizio del ritorno al passato: i loro compagni di lotta non vogliono farle sfilare, perché la loro presenza può scandalizzare la gente comune.
L’Italia uscita dalla guerra torna a essere bigotta: le gonne, che si sono accorciate, si allungano fino al polpaccio.
La chiesa invita le giovani a disertare gli sfrenati balli americani e a dedicarsi all’assistenza dei loro familiari, dei senzatetto, dei bambini e degli sfollati.
Man mano che gli uomini rientrano dal Fronte, le operaie e le impiegate vengono licenziate.
Sulle riviste tornano i consigli alla remissività e alla dolcezza: ”Dovrai essere molto arrendevole, non dovrai imporre la tua volontà, dovrai far vedere che hai fatto progressi nel tenere la casa” si legge nel 1946 su “noi donne”, la nuova rivista femminile del partito socialista.


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